Fini perde la sua partita-della-vita

Con il “sì” alla sfiducia di Paolo Guzzanti (Misto, incerto fino all’ultimo) e il “no” delle ‘futuriste’ Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini – tra le adesioni più incerte alla vigilia -, anche a Montecitorio, oltre che a Palazzo Madama, il governo Berlusconi ha conservato la fiducia.

Tra le altre manifestazioni a supporto dell’esecutivo l’ex pd Calearo, Cesario e Scilipoti; l’ex presidente della Provincia di Roma Silvano Moffa (Fli) non s’è invece presentato alla seconda ‘chiama’.

Su 625 voti validi 314 le preferenze a favore del Governo, 311 i voti contrari. Salvi “colpi di coda”, il Governo resta in sella: ha i numeri per farlo.

Micidiali le manifestazioni d’esultanza da parte del centrodestra “pro-Berlusconi”: applausi come al Maracanà, il canto corale dell’Inno di Mameli (incredibile a dirsi!, anche da parte dei “nordisti” della Lega di Umberto Bossi…) e l’urlo a squarciagola “dimissioni, dimissioni” da parte dei sostenitori del premier. Ed è chiaro che, per Silvio Berlusconi, il Governo centrale deve custodire la propria identità senza soluzioni di continuità, avesse vinto anche per un solo voto: e infatti, deve far riflettere che perfino in un momento del genere l’inquilino di Palazzo Chigi – pur prevalendo sui fautori di un possibile Terzo Polo a matrice neocentrista – non è andato oltre i 314 consensi (dunque, meno della stessa maggioranza assoluta a Montecitorio, di 316 voti sul complesso dei 630 deputati).

Per altro verso, Gianfranco Fini deve senz’altro ringraziare le tre parlamentari in gravidanza, dalla sua “fedelissima” Giulia Bongiorno alla piddina Federica Mogherini, che sono giunte tutt’e tre in aula benché gestanti e non da pochi mesi (hanno votato per prime, in modo da poter abbandonare Montecitorio rapidamente, proprio in considerazione delle loro condizioni di salute). Non si fossero presentate, anziché di tre voti il differenziale tra “no” alla sfiducia e “sì” alla sfiducia sarebbe stato almeno il doppio (6, appunto), senza contare che l’assenza delle tre avrebbe potuto psicologicamente motivare gli incerti a far pendere l’ago della bilancia a favore di Silvio Berlusconi (a quel punto, già certo vincitore). Resta il fatto che diversi, tra i “fiellìni”, non hanno votato secondo le indicazioni finiane.

Dettaglio non irrilevante: alla vigilia del voto di fiducia, in particolare a Montecitorio (a Palazzo Madama tutti davano per ampi i margini a favore del Governo, che in effetti ha riscosso la maggioranza assoluta in Senato), Fini aveva annunciato che, in caso di fiducia a favore del governo Berlusconi con un margine di almeno 10 voti rispetto ai voti di sfiducia, avrebbe lasciato la postazione di Presidente della Camera dei deputati e fors’anche la guida della pur nascente Futuro e libertà.

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