Il “caso Perugini”. Un paradigma per un’intera coalizione e un’intera classe dirigente (2)

(segue)

Nel 2010, quand’era ormai digerito il dato che l’Udc avrebbe supportato la “corazzata”-Scopelliti e che non sarebbe stato il centrista Roberto Occhiuto ma lo stesso Loiero il candidato-Presidente del centrosinistra, si volle a tutti i costi (perfino con una becera finzione, dopo il sostanziale accordo di Caposuvero) proteggere il teorico pluralismo del Pd attraverso le note finte-primarie vinte proprio da Agazio Loiero su Peppe Bova e Brunello Censore (Doris Lo Moro s’era ormai ritirata). Ci fossero state primarie “di coalizione”, il Governatore uscente avrebbe senz’altro dovuto fronteggiare ulteriori rivali per la nomination relativa al centrosinistra.

Il primo quesito fu: ma è giusto?

Noi, sul punto, ripetemmo quel che andiamo dicendo da anni e anni: benissimo il rispetto del cittadino-elettore, ma proprio per questo motivo l’uscente dev’essere assolutamente e sempre ricandidato dalla coalizione che riuscì a farlo eleggere. Perché in forza del principio di responsabilità politica, se l’elettore è contento del suo operato lo rivota; se ne è scontento, lo manda a casa. Un giudizio doveroso, semplice, chiaro.

Invece, se la coalizione ha malgovernato (…anche con l’elezione diretta, le responsabilità non sono e non saranno mai di una persona sola…), con l’espediente di “cambiare cavallo” magari perde lo stesso, però sfugge (e l’uscente con lei) a una precisissima valutazione di merito. E può, così, bellamente attribuire la responsabilità della sconfitta al fatto d’aver cambiato, allo spiazzamento degli elettori, alla minor esperienza del “nuovo” candidato etc. etc.

Ma il Pd ha appena deciso che non ricandiderà diversi uscenti: il punto primo, dunque, è superato.

Evidentemente, per il Partito democratico non è molto importante che siano i cittadini a giudicare se un suo eletto ha governato bene oppure no. Ovvero, per il Pd ci sono cose più importanti.

(2 – continua)

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