Come cambierà l’editoria. Almeno, quanto al debito pubblico

“Un vincolo al Governo nel riordinare le misure di sostegno all’editoria, improntato alla selezione delle categorie dei possibili beneficiari, individuando forme di intervento per l’innovazione, lo start-up e la multimedialità, con l’obietttivo di modernizzare e sviluppare il settore, contenendo il peso degli oneri gravanti sulla finanza pubblica”: dovrebbe essere questo l’obiettivo dello schema di decreto legislativo sulla delega al governo per il riordino dei contributi alle imprese editrici, scrive l’agenzia di stampa Il Velino.

In particolare, le provvidenze dovrebbero risultare “strettamente correlate alle risorse annualmente disponibili” e il contributo non dovrebbe comunque “eccedere il fatturato dell’impresa beneficiaria”. 

Nel giro di un semestre, verrebbe così emanato nel novero dei provvedimenti per favorire la crescita (insieme con rigore ed equità uno dei 3 obiettivi-cardine del governo Monti), “su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i ministri interessati, uno o più decreti legislativi aventi ad oggetto lo sviluppo del mercato editoriale e la definizione di nuove forme di sostegno in favore del settore”.

E i destinatari, in futuro, dei contributi pubblici? Ci sarà una ‘stretta’ sulle categorie interessate, da circoscriversi “con particolare riguardo ai quotidiani e periodici di consolidata tradizione e valore politico-culturale, alle testate espressione di comunità locali”, salve “forme particolari di sostegno per le riviste di alta cultura iscritte in un apposito registro nazionale” e campagne di comunicazione istituzionale per invogliare alla lettura, abitudine purtroppo non molto popolare nel nostro Paese.

Soprattutto, snodo fondamentale sarà quello occupazionale. “Per incentivare l’occupazione giornalistica e poligrafica, si prevede, inoltre, per la prima volta un numero minimo di giornalisti dipendenti”: se non si osserva, niente contributi pubblici. In particolare, poi, nell’anno dei contributi le case editrici di riferimento dovranno aver utilizzato “almeno 5 dipendenti a tempo indeterminato, se editrici di quotidiani, e 3 dipendenti, se editrici di periodici, sempre con prevalenza di giornalisti”. Inutile o cattivello spiegarlo: la gran parte delle testatucole basate su bilanci opinabili e con organici sgarrupati sarebbe destinata a sparire d’amblè.

…E non solo: finalmente, basta con testate giornalistiche “immaginarie”, distribuite quasi per intero a titolo gratuito… Per accedere ai contributi dello Stato, le copie stampate di giornali locali dovranno essere vendute (non distribuite gratis, dunque) almeno per il 35%, soglia che calerebbe al 25% per le testate nazionali. Queste ultime però si vedrebbero imporre un altro, cazzutissimo vincolo: essere effettivamente diffuse in almeno 5 regioni “con una percentuale di distribuzione in ciascuna non inferiore al 5 per cento della distribuzione complessiva”. Obiettivo che, senza puntare l’indice in questa sede…, sembra oggi assolutamente fuori portata anche per blasonatissime testate ben note in tutto il Paese.

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