Lettera aperta al questore di Milano, Luigi Savina

Gentilissimo Questore di Milano Luigi Mario Francescosavina Savina,
in questi giorni la sostanziale “strage dei Tatone” sta mettendo la Polizia milanese (e, più in genere, la Polizia e lo stesso Viminale) in enorme difficoltà. Lo capiamo tutti.

Al contempo, qui in Calabria c’è da sempre un’enorme attenzione a ogni foglia che si muove all’ombra della Madonnina.
Sarà perché la ‘ndrangheta
è ormai forse più presente in uomini (e sicuramente molto ma molto più presente in business e, diciamo così, “fatturato”) a Milano e in Lombardia che non in Calabria. Sarà perché non c’è bisogno di scomodare la Notte dei Fiori di San Vito!, no!, signor questore; ma molto più comodamente ricordare gli assessori regionali lombardi arrestati per i loro patti perversi con la ‘ndrangheta o, solo pochi anni prima – il 14 luglio 2008 –, come sia stato barbaramente giustiziato a San Vittore Olona il boss della “Santa” Carmelo “don Memè” Novella.

Adesso: veda, Lei in queste ore è stato presente un po’ ovunque, sui maggiori media nazionali.

E nell’affannarsi a spiegare che per i Tatone «non convince». Che il duplice delitto di Emanuele Tatone e Paolo Simone il 27 ottobre a Quarto Oggiaro, e solo poche ore fa, in via Pasdelitto Pasquale Tatonecarella, a pochi metri dalla pizzeria frequentata dall’intera famiglia l’assassinio del “re” di Quarto, il 54enne Pasquale Tatone (il più noto e potente fratello di Emanuele: vedi foto a sinistra), non sono l’indicatore allarmante di una vera e propria faida in corso nel capoluogo lombardo.

E allora, visto che deve esporsi in un momento così clamoroso per la vita di Milano, a soli due anni da quell’Expo 2015 sulla quale la ‘ndrangheta vuol sicuramente mettere le mani e, presumibilmente, anche le altre forze del crimine organizzato come appunto la camorra casertana, ci scusi signor Questore: …la studi meglio!, quella maledetta scheda riepilogativa che Le hanno passato i Suoi collaboratori.
Scoprirebbe mondi sorprendenti…

…Per esempio, rammenterebbe con noi che il boss catanese Angelo EpamiTEBANOOOOnonda (il primo da destra in questa foto) non era “uno qualunque”, no: era l’uomo della mafia etnea al Nord, il reuccio di Milano, il kapataz delle bische, l’autore della strage alla “Strega” (otto morti ammazzati in un colpo solo in via Moncucco, a uno sputo dall’ospedale San Paolo…). E poi colui al quale sfregiarono il volto dallo zigomo al naso, il primo pentito di mafia, quello a cui spararono mentre deponeva in un’aula di tribunale…

Scoprirebbe che lo stesso Epaminonda, da lei così ampiamente citato nelle interviste odierne per dire che «quelli» (e ..non «questi») erano i tempi degli eccidi, delle faide…, ha citato il proprio soprann

tebano

ome nella sua autobiografia (Io, il Tebano: vedi foto qui a sinistra).
E quindi scoprirebbe che il soprannome del boss “trapiantato” a Cesano Maderno non era “il Tèbano” come Lei l’ha inavvertitamente ribattezzato in audiovideo un po’ su tutti i tg nazionali… (qui al minuto 20:13 proprio questo infelice passaggio, nell’intervista rilasciata al Tg1) bensì “il Tebàno”. Cioè “colui che viene da Tebe”, l’antica città greca, signor questore, perché proprio Epaminonda si chiamava un celeberrimo generale di Tebe vissuto tra il quinto e il quarto secolo avanti Cristo.
E che questo soprannome, signor questore, se l’era fatto affibbiare volentieri perché, per citare uno dei suoi più illustri predecessori, Achille Serra, «s’è atteggiato a capo senza averne le caratteristiche, salvo la crudeltà. Perché questa era gente che ammazzava senza pietà».

….E sì che uno come lei, che applicato alla Questura di Palermo in due distinti periodi, queste cose dovrebbe saperle. Altro che Tèbano.

Ecco, allora voglio dirle una cosa: gli altri non lo so, ma io da oggi mi sento un po’ meno sicuro. Perché la sicurezza – Lei lo sa per professione – non è solo rappresentata dal complesso delle azioni di prevenzione e di repressione, ma pure e forse soprattutto dalla percezione che di tutto questo si ha.
E io, sì – a Lei verrà da ridere…. – da oggi ho una spiacevole sensazione, una percezione d’insicurezza. Non riguarda certo le Sue capacità d’investigatore, eh. Però…

Il Tebàno, signor Questore. Basta poco.
Il Tebàno.

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