Il mondo festeggia la Giornata del jazz… E secondo Rava “tutto ok, purché se ne parli”

Si celebra in queste ore la Giornata internazionale del jazz.
Parigi la guest city (ma altre importanti piazze per questa quarta edizione 2015 sono New York e Tokyo), sotto il segno del Goodwill ambassador Unesco Herbie Hancock, compositore strepitoso e vero mito del piano jazz (ma anche della fusion, dell’elettrodance, della disco…).
In realtà, sono giorni che, in tutte le città del mondo, numerosissimi live scandiscono l’imminente scoccare del 30 aprile. 

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Dell’importantissimo evento culturale e musicale abbiamo parlato con l’immenso trombettista Enrico Rava… (nelle foto).

 

Rava, lei è considerato tra i maggiori compositori e performer jazz di tutt’Europa. Perché è importante la Giornata internazionale del jazz?

«Secondo me, la cosa più importante della Giornata del jazz è che si torna a parlare di jazz… e questo è già un valore importante di per sé, perché in genere ormai non se ne parla molto. Poi, che possa dare risultati pratici… non credo: è come la Giornata del papà, la Giornata della nonna… la Giornata della melanzana… Ma l’importante è che se ne parli. Negli ultimi anni, il jazz è diventato una specie di Cenerentola: il pubblico c’è sempre, ma ad esempio i media oggi ne parlano ben poco. Per esempio, negli anni ’80 sui giornali importanti c’era spessissimo almeno una pagina sul jazz; oggi, questo è ormai un fenomeno rarissimo. Le televisioni, a parte qualche volta Radio3 grazie anche all’impegno e ai live trasmessi da Pino Saulo, praticamente ignorano questo genere musicale… fino a 6-7 anni fa non era così. Ecco allora che la Giornata internazionale del jazz fa in modo che un po’ se ne riparli, che torni l’attenzione su questa musica straordinaria».

Cosa si potrebbe fare per trattare un po’ meglio un genere musicale che merita tanto, un “mondo” popolato di grandi protagonisti, spesso di grande tecnica e cultura nel senso più ampio del termine?

«Mah, non lo so. E’ cambiato tutto molto in questi ultimi anni, non solo per quanto riguarda il jazz… anche altre forme d’arte hanno perduto lo spazio che avevano, sembra un po’ che tutta la cultura rava3sia quasi messa da parte. Sta diventando un mondo in cui, in pratica, conta solo il successo economico… Quanto al jazz, poi, conta anche la scomparsa dei Grandissimi, di quelli che questo genere l’hanno praticamente inventato: Louis Armstrong e John Coltrane, Duke Ellington e Miles Davis, l’unico dei Grandi a essere sopravvissuto è Sonny Rollins ma ormai suona pochissimo, Ornette Coleman non suona più, McCoy Tiner ha l’Alzheimer… Questi grandi personaggi sono irrimpiazzabili: non tanto perché nessuno possa sostituirli dal punto di vista tecnico o musicale, ma perché hanno una tale importanza storica rispetto al jazz che, nel momento in cui spariscono, c’è un vuoto incolmabile. E poi, oltre che grandi musicisti, si trattava pure di personaggi carismatici: Miles Davis, quando veniva in Italia, faceva notizia, riempiva le pagine di tutti i giornali, e su quell’onda lì si parlava anche degli altri…».

Enrico Rava () è davvero un “giovane settantacinquenne”: ok, avere una pluralità di formazioni con cui suonare è tipico dei jazzmen, però lei crava2ontinua a crearne di nuove!

«Se io mi adagiassi sulle stesse cose che facevo quarant’anni fa smetterei, perché mi annoierei a morte… Io faccio così, cerco sempre stimoli nuovi. Ogni giorno studio almeno due ore, cerco costantemente di fare nuove cose che non so fare, di migliorare… Non è detto che ci riesca, perché alla mia età migliorare è difficilissimo, perché non si hanno più le reazioni di prima… però ci provo sempre. E non perché voglia o “debba” dimostrare qualcosa: è l’unico modo per sentirmi vivo, è una cosa che mi mantiene “giovane dentro”… E’ vero che ho 75 anni, ma riesco ad avere la stessa voglia, passione e curiosità di quando ne avevo 20… Per cui, mi trovo meglio con artisti giovani: nella nuova band con Diodati, per esempio, gli altri tre musicisti messi insieme hanno solo cinque anni più di me…Tutti credono che io lo faccia perché voglio fare il talent-scout: invece non me ne frega niente. Il fatto è che io ho voglia di suonare con chi ha la mia stessa visione della musica, e questo solitamente lo trovo solo nei più giovani…»

 

In tutto questo con una delle nuove band, Tribe, solo nel 2011 è riuscito a sfondare nelle mitiche top chart jazz statunitensi. Gran successo vista l’età, no?

«Certo. Anche. Ma tutto nasce dal fatto che mi piace la musica… non “il jazz”, ma “la” musica. E questo non perché non mi piaccia il jazz: lo adoro, concretamente io suono questo genere di musica, ma tutta la musica. Per questo motivo è nato il mio omaggio a Michael Jackson, “Rava On The Dance Floor”… Per esempio, a me piace il rap: quest’estate ho fatto concerti con alcuni deejay, anche a Umbria Jazz, e presto ne farò altri…Ecco, al “Frontone” con Dj Ralphie abbiamo suonato davanti a 5mila ragazzi, io non ho certo fatto “la marchetta”. Ho fatto quello che faccio sempre: e questi giovanissimi, dai 16 ai 23 anni, a ogni assolo saltavano in aria… Questo significa che siamo davanti a un pubblico potenziale vastissimo, solo che questi ragazzi non li porterai mai in un teatro dove stanno tutti seduti, composti, in giacca e cravatta: devi trovare la cornice giusta».

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